La città che vogliamo

LA CITTA' CHE VOGLIAMO 

 

 

Nei giorni del 24 marzo e 27 aprile 2023, le ACLI Provinciali hanno deciso di promuovere un confronto tra le associazioni della città, divise per sei macro-tematiche: Cultura, Welfare, Territorio, Inclusione, Partecipazione, Giovani.

 

Di seguito potete trovare gli audio degli interventi e le conclusioni restituite dai relatori per ogni tema. Quest’ultime poi verranno presentate alla cittadinanza e ai futuri candidati per le amministrative di Bergamo del 2024, nell’aspettativa che i futuri governanti ascoltino le richieste e le proposte provenienti dai mondi associativi e dai movimenti del capoluogo.

 

Ci scusiamo con alcune delle realtà che hanno partecipato se non tutte le registrazioni risultano allo stesso modo fruibili.

RESTITUZIONE FINALE DI FRANCESCO MAZZUCOTELLI

 

 

L’avvio delle iniziative legate a Bergamo Brescia capitale della cultura 2023 ha stimolato da più parti una domanda apparentemente semplice da cui è fondamentale prendere avvio: che cosa è cultura?

 

Si tratta solo di un lungo elenco di eventi, mostre, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografici, presentazioni di libri, conferenze e rassegne di incontri, oppure c’è qualcosa di più? Dagli interventi appare chiaramente, anche partendo da posizioni, sensibilità e temperamenti personali differenti, la considerazione che cultura è soprattutto una riflessione sull’orizzonte di senso dell’esperienza umana, nella quale convergono l’espressione di sé, la ricerca di relazioni e di una vita buona e felice (Bailo).

 

Tutti gli eventi culturali sono in questo senso veicolo di qualcos’altro, e un’azione culturale duratura non è tanto quella che confeziona un programma di avvenimenti, ma che riesce a legarli in un discorso di senso compiuto. Un’azione culturale duratura ha pertanto una prospettiva di discernimento e di inclusione, svolgendo una funzione sociale (Basezzi).

 

Vita e cultura sono impastate, perché la cultura parla del destino dell’umano: “fare cultura” vuol dire dunque anche avere cura dei luoghi nei quali le domande esistenziali sono espresse (Milesi).

 

Questa considerazione generale di partenza viene declinata negli interventi della serata attraverso la lettura del contesto sociale e storico di una città che cambia, dentro una cornice più ampia segnata da molteplici fattori di crisi e di trasformazione complessa. Le attrici e gli attori della scena culturale si domandano che cosa voglia dire restare umane e umani dentro una complessità non sempre semplice da decifrare, privilegiando la dimensione della costruzione di relazioni e alleanze alla riduzione della scena culturale a produttrice di beni da consumare in maniera istantanea (Maggioni).

 

Si avverte da più versanti la responsabilità e l’onere di “fare cultura” dentro un quadro generale di preoccupazioni e precarietà sociali, economiche e politiche. Le transizioni in corso, sempre più rapide e difficoltose da capire e da affrontare, impongono un ripensamento e una ridefinizione delle attività culturali, in particolare per evitare che diventino autoreferenziali e perciò sostanzialmente sterili (Cremaschi).

 

I cambiamenti nella società, nei rapporti personali e nelle visioni del mondo portano inevitabilmente alla ribalta nuovi temi, nuovi pubblici e nuove voci che desiderano esprimersi ed essere ascoltate. Da un lato, ciò pone una questione di spazi che siano accessibili e trasversali; dall’altro, emerge il bisogno di dare visibilità a storie e identità plurali che finora non erano state raccontate e ascoltate (Danesi), oppure che erano state raccontate esclusivamente in maniera marginale e subalterna. Appare sempre più necessaria un’osmosi con nuove culture e nuove soggettività, superando gli steccati che sovente confinano le realtà esistenti nella posizione di isole o bolle con utenze poco permeabili a potenziali forme di scambio reciproco (Merati).

 

Non esiste comunque un unico modo né un unico strumento per realizzare l’espressione di queste soggettività (Morandi).

 

La pluralità di voci, identità, tempi e spazi offre potenzialità, ma richiede anche la disponibilità a un confronto di competenze e alla conoscenza reciproca (Terzi), anche per evitare che l’impermeabilità reciproca porti a un’inutile duplicazione di attività e alla dissipazione di risorse ed energie.

 

Le questioni legate a risorse e sistemi di finanziamento sono centrali in tutti gli interventi della serata e si collega fortemente al tipo di relazioni che le/i partecipanti si aspettano da parte delle istituzioni e dell’amministrazione culturale. L’ubiquo ricorso ai bandi come principale sistema di finanziamento da un lato crea un fiorente sistema di “bandifici” e dall’altro penalizza progetti ed eventi che, per le più svariate ragioni, non possono accedere ai bandi stessi (Merati).

 

La competizione per l’accesso ai finanziamenti e alle risorse scarse ha una natura fortemente problematica e contribuisce ad accrescere il divario tra i cosiddetti grandi eventi e contenitori, da una parte, e le realtà “off” o più periferiche, dall’altra (Cremaschi). Appare invece urgente il sostegno alla formazione di nuove operatrici e nuovi operatori in campo culturale (Basezzi), così come d’altra parte è necessario rimpolpare l’assessorato alla cultura di risorse e personale (Locatelli).

 

Tra le richieste emerse vi sono inoltre l’istituzionalizzazione di momenti di confronto tra soggetti pubblici e privati (Nikpalj), e la mappatura di tutti gli spazi pubblici e privati disponibili per eventi culturali (Milesi).

 

La trasparenza dell’interlocuzione con le istituzioni viene spiegata come il fatto che l’assessorato alla cultura non debba necessariamente essere l’ideatore e il progettista di eventi, ma che soprattutto debba valorizzare e supportare la vitalità che già esiste e deve essere collegata e supportata (Merati). Appare da più parti la richiesta del riconoscimento della funzione pubblica e sociale svolta dalle associazioni e dalle realtà che occupano nel campo della cultura (Basezzi). Emerge fortemente il desiderio di essere valorizzati e sentirsi coinvolti, ma soprattutto di evitare la percezione che i soggetti in campo culturale siano visti come coloro che vanno presso le istituzioni a elemosinare le briciole (Perico).

 

L’assessorato può svolgere una funzione di facilitatore di coprogettazione, ma in ogni caso bisogna ripensare la trasparenza e la prossimità con le istituzioni (Cremaschi).

 

Se promuovere la sinergia è senza dubbio auspicabile, da più parti si sottolinea come l’assessorato alla cultura debba avere una funzione innovativa e debba portare la cultura in maniera trasversale dentro l’attività di ogni altro assessorato. L’assessorato alla cultura si deve dunque configurare come un vero e proprio assessorato alla visione della città, declinando una visione di cultura plurale dentro una visione di città aperta (Locatelli).

 

In questo senso, riprendendo la natura trasversale e intersezionale della cultura, ci si è chiesto persino se debba esistere un assessorato specifico alla cultura, oppure se le politiche sociali e ambientali siano esse stesse politiche culturali (Bailo).

 

Comune a molti interventi è la condivisione che l’azione culturale debba avere un impatto duraturo e generativo, e dunque che sia impellente sfuggire alle narrazioni e alle pratiche dell’evento di carattere “pop” ed estemporaneo, o comunque non dare l’idea di affidarsi esclusivamente a questa tipologia. La cultura è cura ed è essa stessa politica perché chiama in causa un’assunzione di consapevolezza e di responsabilità (Maggioni).

 

La cultura sta dentro la città, ed è per questo vitale nella sua capacità di (ri-)generare spazi e relazioni.

RESTITUZIONE FINALE DI SANDRO GIUSSANI

 

 

Direi che di welfare ne abbiamo in città, ma è stata chiesta dalle realtà che sono intervenute un’importante continuità. Oltre ai ringraziamenti di chi si metterà al servizio in questa funzione di amministrare la città, mi pare che diamo due/tre tipi di lettere al futuro governo cittadino. Una lettera è: vogliamo condividere con voi le visioni di che cosa è il welfare. L'altra lettera è: vogliamo che voi stiate attenti ad alcune domande precise e specifiche di welfare. E l'ultima lettera è: vogliamo che voi agiate in modo da gestire il welfare.

 

Nella prima lettera si chiede una visione di welfare che non sia solo riparativo e che riguardi la qualità della vita. Una visione di welfare che sia attenzione alla fragilità, supporto, ma anche un aiuto a chi sta costruendo la propria vita, come le coppie giovani che cercano casa. Vi chiediamo una visione di welfare di tipo culturale. Il welfare è prossimità, il welfare è volontariato, il welfare è vicinanza. Dichiariamo una visione di welfare che è qualcosa che cammina a fianco in modo ordinario, diceva qualcuno, nell'incertezza della fragilità, della fatica. Questa è una dimensione ordinaria della vita. Allora, se questa è una dimensione ordinaria della vita, non solo della singola fragilità, nella singola patologia, vi chiediamo di mantenere una grande trasversalità fra le politiche abitative, di mobilità, culturali, sociali, ambientali. Serve una grande trasversalità e continuità per adempiere a questo servizio, serve un'attenzione alla salute, come qualità della vita, in tutte le politiche amministrative.

 

Una grande continuità che risponde ad una missione che contempli le reti, la trasversalità delle politiche, una traiettoria di medio-lungo periodo da portare avanti, una prospettiva concreta in nome della possibilità del decentramento e della vicinanza nei quartieri. Le associazioni che hanno parlato hanno chiesto, politicamente, di difendere uno stato sociale equo, universale, accessibile, non identificato come una dimensione della risposta all'individuo ma come un movimento collettivo della comunità. Questa è la prima lettera, mi pare, che le associazioni “inviano” alla futura amministrazione.

 

Dentro questa visione ci sono poi le necessità delle persone: la prima di esse è la solitudine. Questa condizione comprende il tema degli anziani, chi non trova lavoro o chi ha delle barriere nell'accesso al mondo del lavoro, chi non riesce a conciliare i più grandi incarichi di cura con il tempo del lavoro. Ecco, la solitudine è un tema su cui le associazioni chiedono alla futura amministrazione di lavorare.

 

Le associazioni chiedono anche di lavorare con una città più attenta alle giovani generazioni. Connesso a questo tema non è più rinviabile rispondere ai bisogni dell'abitare, che non sono soltanto “offerta abitativa”, ma sono anche l’abbattimento delle barriere per poter abitare i propri spazi, i negozi di prossimità, le strutture di housing sociale, cioè abitare in un quartiere che ti è facile, che ti è in qualche modo accessibile. A tal proposito serve una città aperta, ma anche una città inclusiva e una città partecipata in qualche modo.

 

Il tema del lavoro è già stato recuperato in questi anni, ma vi chiediamo di sostenere chi fa ricerca, chi promuove il mutuo-aiuto, e non soltanto i grandi progetti economici-imprenditoriali ma anche le piccole progettualità. Per fare ciò chiediamo un grosso impegno politico nel far sì che si creino le condizioni per una rivisitazione dei modelli di Stato Sociale, di servizio sanitario e sociosanitario. Si chiede alla politica locale di orientare le scelte regionali e nazionali, per non creare disuguaglianze e non lasciare che il welfare diventi un welfare dei poveri. “Non state zitti, non state zitti sulle politiche regionali” è una delle richieste che emerge con più frequenza.

 

Terza e ultima lettera, fondamentalmente mi pare che tutto ruoti intorno al tema della governance. Le associazioni chiedono di governare la sussidiarietà, che per un amministratore non è solo riconoscere un diritto nei livelli più bassi, ma è anche promuovere i diritti dove le persone non ce la fanno e sostenerle. Le associazioni che hanno parlato chiedono un lavoro di coordinamento sulle politiche educative, delle risorse di comunità, con l'economia profit e fra i tanti ammortizzatori del sociale di Bergamo che, come è successo nella pandemia, riesce a esprimersi al meglio. Chiediamo alla futura amministrazione di investire sul fatto che la gente si pensi capace di lavorare insieme, di lasciare spazi che diventano luoghi significativi per poter partecipare. Chiediamo di aiutarci a riconoscerci dentro punti di vista diversi. Gli amministratori non rinforzano il loro potere di servizio creando divisione all’interno del sistema di sussidiarietà, ma aiutando quest’ultima a fare rete. Continuiamo su questa cosa qui.

 

Chiediamo di essere interlocutori. Chiediamo di trascinare il territorio. Chiediamo, appunto, questo tema continuo di creare integrità e parafrasando un po’ quello che si diceva sulle librerie da intellettuali a imprenditori commerciali, chiediamo di aiutare le imprese sociali e il volontariato a rimanere quello che è, un imprendere sociale e non a doversi trasformare in competizioni di tipo commerciale. Dietro queste cose ci sta il tema della co-progettazione, creare tavoli di co-progettazione in senso generale, perché la co-progettazione valorizza quello che c’è sul territorio, nello specifico, un tavolo di co-progettazione permanente per le fondazioni, per sostenere i più piccoli e per dare a questi progetti più piccoli la prospettiva di un periodo di medio-lungo termine. Avrò saltato seimila cose però io direi che qua ci sono le tre lettere.”

RESTITUZIONE FINALE DI SUSANNA PESENTI

 

 

Il territorio, o comunque la gestione del territorio e della città, è la cornice materiale nella quale vanno a iscriversi i due precedenti capitoli di stasera, cioè la realizzazione della cultura e la realizzazione del welfare, perché poi, quando ti trovi in un mare di cemento, è difficile inventarti delle cose. Sono uscite soprattutto due parole: zero suolo e partecipazione. Queste sono i due assi nel quale vogliono muoversi i quartieri, ovviamente ciascuno con problematiche diverse, ma sono questi due, perché l'amministrazione di questi anni non è stata, da questo punto di vista, un’interlocutrice continua e del tutto trasparente, soprattutto sui grandi progetti. 

 

Grandi progetti che in parte sono avviati, in parte stanno per essere avviati e altri che sono ancora sulla carta. I tre comparti ovviamente arriveranno sull'amministrazione futura, esattamente come le scelte dell'amministrazione passata sono arrivate su questa; quindi, l'attenzione dei cittadini, soprattutto dei cittadini che si coordinano e non sono isolati, diventa fondamentale. Sono stati citati i grandi progetti: quelli che andranno più a impattare sul nostro territorio, quello che riguarda la mobilità pesante, cioè, il rifacimento della stazione, Porta Sud, i vari treni e stazioni; ma sono stati anche citati degli interventi più leggeri, che non sono stati forse realizzati fino in fondo o troppo in fretta: come quelli che riguardano una vera rete di piste ciclabili o un possibile recupero delle vie d'acqua. Abbiamo sentito anche che in realtà si va verso un'ulteriore copertura delle vie d'acqua, e c'è una certa confusione per cui la mobilità dolce si sviluppa soprattutto sui marciapiedi, dove ci sono i pedoni e le bici e, faccio questa aggiunta da cronista, anche i monopattini,  adesso.

 

Per cui, da questo punto di vista, le cose da fare chieste dalle associazioni, sia di settore che da chi abita nei quartieri, mi sembrano piuttosto pesanti: c’è un sacco da fare. La transizione ecologica è l'obiettivo di tutti, ma è un obiettivo che non è forse uscito molto chiaro nei fatti, sicuramente nelle parole sì, ma non nei fatti in questi anni e sarà un'altra grande sfida per  la prossima amministrazione. C'è una grande attesa sul PGT, ma per le cose dette prima, bisogna capire che cosa resterà da fare al PGT, perché a quel punto, probabilmente, il suolo sarà al 90% impermeabile e al 90% costruito. E ci sono delle richieste di un nuovo modo di abitare, soprattutto per quanto riguarda il passaggio dal condominio, e quindi dal condomino isolato, a modi più comunitari di affrontare i problemi. Su questo tema ci sono anche sperimentazioni interessanti che stanno partendo, tuttavia, il modo prevalente del nostro abitare è ancora di tipo vecchio, sia a causa di come si è costruito in passato sia per quello che si è costruito negli ultimi anni, e questo dà una sensazione di uniformità, non nel senso positivo ma nel senso di indifferenziato, di non riconoscibile.

 

Quindi, leggere il territorio nella sua complessità significa tener conto realisticamente di quello con cui dobbiamo fare i conti, e probabilmente gli anni del covid ci hanno distratto da progetti che magari andavano analizzati da parte della cittadinanza in maniera più approfondita. Per questo bisogna cominciare di nuovo a rileggere determinati nessi ma anche le realtà dei nostri quartieri. Un altro nesso importante è stato citato da Italia Nostra, ma non solo, ed è quello dei rapporti fra costruito e natura, fra verde urbano e verde periurbano, e l'utilizzo di tutte queste possibilità, in modo che siano tutelate, ma anche, per quanto possibile, implementate, anche tenendo conto che non siamo una grande città metropolitana, ma abbiamo un territorio così fittamente costruito che non possiamo più pensare di ragionare solo in termini di Comune di Bergamo, dentro le mura e fuori dalle mura. Per tale ragione i discorsi si fanno ancora più complessi. Tuttavia, è cresciuta da parte della cittadinanza la consapevolezza di questa complessità e soprattutto la voglia di cambiare davvero.

 

Per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini è stato più volte sottolineato che il rapporto con l’istituzione quartiere nel suo complesso, a livello politico e tecnico, è stato abbastanza deludente e sporadico e questo non ha permesso di avviare dei discorsi che portassero effettivamente dei cambiamenti, se non sostanziali, comunque rilevanti. Dal punto di vista della mobilità, detto quello che si è detto sulle piste ciclabili, reali e presunte, i progetti e le parole d'ordine che stanno girando non sembrano andare, in realtà, nella direzione di una diminuzione dei mezzi di trasporto tradizionali e sembrano continuare a lasciare un po’ ai margini il cambio di passo del trasporto pubblico. Probabilmente, invece, per quanto riguarda le biciclette, si andrà verso una massa critica un po’ alla volta e quindi prima o poi qualcosa cambierà. Per quanto concerne, invece, un quartiere particolare come Città Alta, c'è il problema dello spopolamento, che non è un problema nuovo, visto che è trent'anni che se ne parla. Indubbiamente, la presenza del turismo B&B, vero o presunto anche qui, perché i bed and breakfast hanno determinate regole ma non sempre vengono osservate, ovviamente rischia di trasformare definitivamente Città Alta in una specie di città dei balocchi; anche qui, il problema resta sempre quello di affitti che siano affrontabili dalla maggioranza della popolazione, quindi, forse, un ragionamento su tipi di housing adatti a Città alta e alle sue case potrebbe essere una pista di riflessione, ma tutta da costruire.

 

Infine, quanto riguarda i cantieri è emersa la necessità di coordinare i cantieri che ci aspettano, in modo da non avere tre anni davanti ancora di caos, come negli ultimi mesi. E poi trovo utile per tutti noi questa riflessione sul fatto di non affrontare le cose in fretta e andare in corsa sempre dell'emergenza, perché una volta che le scelte urbanistiche sono fatte, poi, ce le trasciniamo per secoli e non solo per decenni.

INTERVENTO FINALE DI SERGIO COTTI

 

Buonasera, io ho cercato di prendere un po’ di appunti e ho voluto affrontare questa serata senza avere prima degli spunti, proprio per cercare di capire davvero che cosa lega queste realtà. Io ho sentito, parlando di inclusione, di tanti argomenti che sono stati ripetuti da tutti, o quasi tutti. Per inclusione, verrebbe da dire ad un primo ascolto “parliamo di servizi sociali” ma non è così. Quando parliamo di inclusione parliamo di donne, di migranti, di emarginazione sì, è vero, ma ho sentito anche molto spesso parlare di giovani, di diritti di tutti, di parità di genere, di casa, di lavoro, di urbanistica, di partecipazione, di spazi verdi, di inquinamento, di servizi educativi… insomma, tanti assessorati, dato che si parla della prossima amministrazione pubblica. Quindi, forse, l'idea di chiedere ad una futura amministrazione comunale di costruire una rete e fare in modo che le realtà di questi mondi parlino tra di loro, probabilmente in realtà si sta già parlando per affrontare questi argomenti in maniera globale.

 

Sono emerse due o tre cose, direi con chiarezza. Innanzitutto, il ruolo del comune di Bergamo, perché mi sembra di capire, sentendo le associazioni, che oltre ad una legittima lista di cose da fare, in molti hanno convenuto sul fatto che non siamo all’anno zero; quindi, questo mi sembra che sia già un ottimo punto di partenza. Emerge anche con molta chiarezza l’esigenza di un'alleanza più forte tra il comune e le associazioni e tra le associazioni stesse. Noi abbiamo fatto un lavoro, come Eco di Bergamo, qualche mese fa e siamo stati nei quartieri e abbiamo visto che in ogni quartiere ci sono almeno una trentina di associazioni, che moltiplicate per 25 quartieri, significa decine se non centinaia di associazioni. Entrando poi in contatto con queste associazioni, viene anche fuori che le associazioni a livello numerico sono quattro/cinque/dieci persone, quindi chi c'è dietro queste associazioni?

 

Quando si parla di partecipazione e voi lo avrete probabilmente sperimentato spesso e volentieri parliamo di manifestazioni con cinque/dieci persone e non si riesce, soprattutto nei quartieri, a coinvolgere nuovi soggetti; quindi, io credo che ci sia anche un pensiero da fare sul tema della partecipazione e su come riuscire a coinvolgere, da parte delle stesse associazioni, i cittadini. Poi evidentemente il rapporto che c'è con il Comune può e deve essere perfezionato, tutto è perfettibile. La rete c’è, esiste, però effettivamente c'è anche bisogno di capire in che modo riuscire a far partecipare di più i cittadini. Questo modello che il Comune sta mettendo in atto da qualche anno (e l'esperienza del covid ha aiutato molto sotto questo punto di vista) cioè di co-progettazione, per esempio, già esiste.

 

Quindi, effettivamente oggi c'è probabilmente da aumentare, da andare sempre di più verso questa direzione di condivisione e coinvolgimento, aprendo probabilmente questo discorso a più associazioni. Oggi l'impressione che sia un po’ appannaggio di pochi, di pochi più strutturati e la domanda che viene fuori dagli interventi che ci hanno preceduto è “quanto sappiamo essere partecipativi come cittadini e come associazione?”

 

Dopodiché, eviterei di fare la ripetizione della lista. Nel senso che abbiamo capito che servono più spazi, abbiamo capito che servono più possibilità di interagire tra i cittadini e il comune, abbiamo capito che esistono interessi specifici delle varie realtà che sono assolutamente legittimi e vanno presi in considerazione.

 

Tuttavia, una cosa la vorrei dire prima di chiudere: sempre sul discorso della partecipazione, che poi è il fondamento, è un po’ la pietra basilare su cui si costruiscono tutti i rapporti. C'è un po’ di difficoltà in città nel cambiare questo Centro Per Tutte le Età da centro della terza età che era al passato ad un luogo partecipato da tutti. Le associazioni è giusto che facciano il loro mestiere, anche quello di solleticare, di stimolare il comune; è giusto anche che trovino tra loro e tra loro e il comune una capacità maggiore di parlarsi e di agire.

INTERVENTO FINALE DI FILIPPO PIZZOLATO

 

Mi pare che questa rassegna di interventi abbia messo in luce il bello e il brutto del tema della partecipazione. Bello per la ricchezza e la generosità delle iniziative, soprattutto nell'ambito sociale, educativo, culturale. Un fattore, secondo me, che è emerso è la sterilizzazione politica delle reti sociali: questo è il punto drammatico della partecipazione a Bergamo, e credo che, su questo piano, una discontinuità reale si imponga, sennò ci condanniamo a rimpiangere le circoscrizioni di decentramento e sarebbe veramente un risultato tragico.

 

La città è ricca sul piano, appunto, sociale, educativo, culturale, sia a livello centrale sia a livello territoriale, la città è attrattiva per gli eventi. Il problema che sembra emergere è la sterilizzazione politica, e quando dico sterilizzazione politica non voglio negare un rilievo politico dell'impegno, ovviamente, sociale, culturale, educativo, ma la mancanza di una implementazione della partecipazione sul versante urbanistico e viabilistico, che sono i due versanti in cui sono emerse le criticità evidenziate dall'intervento relativo sia al Villaggio degli Sposi che a Boccaleone.

 

E qua, secondo me, l'amministrazione aveva compiuto la scelta giusta, perché le circoscrizioni avevano questo ruolo di interlocuzione sintetica sui problemi, sulle questioni anche viabilistico-amministrative, ma mancavano totalmente di radicamento, in quanto occupate dai partiti che sono pressoché assenti totalmente, non tutti, ma insomma in buona parte nei territori. Le circoscrizioni, anche per esperienza personale, lo posso dire, erano luoghi in cui venivano paracadutati i giovanili virgulti nell'attesa di una progressione di carriera politico-amministrativa e molti poi l’abbandonavano per sfinimento una volta verificata l’assoluta inutilità delle circoscrizioni, per cui era un punto di crescita della nausea a livello politico-amministrativo.

 

La scelta del Comune è stata quella delle Reti, che rispetto ad altre proposte come quella molto diffusa, che incontra anche apprezzamento, dei Patti di Collaborazioni o di regolamenti dei beni comuni, aveva a mio avviso il vantaggio di offrire delle sedi di progettazione dei quartieri sui quartieri stessi. Dunque, un luogo strutturato, stabile, di progettazione dei quartieri, mentre i regolamenti sui beni comuni tendono a risolversi in una serie di patti civici che hanno il limite della parzialità, della episodicità. Qui la strada a mio avviso era una strada giusta, la strada è stata imboccata correttamente ma, appunto, con il limite che poi abbiamo visto oggi, che personalmente ho evidenziato uscendo dalla mia collaborazione con le reti, della mancanza di un coinvolgimento delle reti sociali in materia urbanistica e viabilistica.

 

E questo comporta anche un danno, non solo una mancanza, ma un danno perché i cittadini che si vedono coinvolti nelle reti e poi tacitati su alcune questioni possono nutrire il sospetto che la loro partecipazione sia usata e sia una partecipazione che vale fino a un certo punto. Quando i giochi si fanno duri, quando chiamano in causa le questioni in cui girano anche i soldi e gli interessi, allora si torna alla vecchia e abituale amministrazione: costruttori, commercianti e la partecipazione ritorna a organizzare festine di quartiere che forniscono occasioni di esibizione per politici locali.

 

E questo credo che sia un grandissimo limite che deve essere seriamente pensato, perché la città in questi anni, a mio avviso, è stata molto dinamica, colma di investimenti, attrazione, eventi e si è caratterizzata per la forza progettuale, però con scarsa cura per la ricaduta viabilistica e dei progetti sull'identità dei quartieri. Io ho in mente anche il quartiere in cui ho vissuto per anni, Redona, che è oggetto di questo gigantismo di progetti che però hanno completamente sfasciato l'identità del quartiere, ne hanno fatto perdere ogni tipo di capacità, di autoriflessione su sé stesso, è un quartiere che non si riconosce più, cresciuto troppo in fretta, con questa logica di gigantismo di riempire dei vuoti ma, a mio avviso, con delle lacerazioni del tessuto sociale da sanare.

 

Bisogna superare questa opposizione tra partecipazione sociale, culturale, educativa, e partecipazione urbanistica e viabilistica, il che vuol dire superare anche l'opposizione manichea, anche un po’ comoda, tra la partecipazione collaborativa che non smettiamo di celebrare e quella un po’ antagonistica, fastidiosa, dei comitati che tanto infastidiscono chi dirige la baracca. La partecipazione è così, collaborativa ma anche antagonistica, non si può prendere solo quello che fa comodo nel momento, se no, ripeto, si produce un danno. Credo che la cosa peggiore che possiamo fare sia quello di offrire il destro a chi verrà dopo di ripristinare le circoscrizioni di decentramento.

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