Il ricordo di papa Benedetto

PAPA RATZINGER, L'UMILE LAVORATORE NELLA VIGNA DEL SIGNORE

 

La storia lo ricorderà come il papa della rinuncia. Quel giorno – me lo ricordo bene, era l’11 febbraio del 2013 – stupì il mondo con il suo annuncio motivato con “la certezza che le mie forze per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Ma Benedetto XVI, Joseph Ratzingerè stato molto di più.

Figlio della cattolicissima Baviera (non si potrebbe comprenderlo se non situandolo dentro questa terra e questa Chiesa), teologo di razza – partecipò al Concilio Vaticano II come “consulente” – vescovo di Monaco e Frisinga e poi chiamato a Roma da Giovanni Paolo II come prefetto della Dottrina della Fede, compito che ha retto per 24 anni (famosi i documenti con i quali denunciava la sudditanza della teologia della liberazione all’analisi marxista della società).  Fino a quel giorno, il 19 aprile del 2005. Ero in piazza San Pietro quando apparve al balcone e disse poche parole: “Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”.

 

”Non riesco a vedermi come un fallito”

 

Un pontificato complesso e controverso, attraversato da sfide e problemi, in parte lasciati irrisolti dal suo predecessore. Segnato da questioni che si trascinano ancora oggi nella Chiesa. Nel libro-intervista con Peter Seeweld (Benedetto XVI. Ultime conversazioni, Garzanti 2016) pur ammettendo che «il governo pratico non è il mio forte» e riconoscere di mancare di “risolutezza nel prendere decisioni” respinse con forza l’idea di non aver adempiuto al compito che gli era stato affidato: “Non riesco a vedermi come un fallito. Per otto anni ho svolto il mio servizio. Ci sono stati momenti difficili, basti pensare, per esempio, allo scandalo della pedofilia e al caso Williamson o anche allo scandalo Vatileaks; ma in generale è stato anche un periodo in cui molte persone hanno trovato una nuova via alla fede e c’è stato anche un grande movimento positivo”.

 

“Il Papa è uno solo”. “La mia coscienza è a posto”

 

Otto anni intensissimi fino alla sua rinuncia e alla scelta di risiedere al Monastero Mater Ecclesia, all’interno della Mura Leonine. “Il contemplativo del Vaticano”, l’ha più volte chiamato papa Francesco che con lui, pur nella diversità degli approcci, ha sempre avuto affetto e parole di grande stima. Peraltro sempre ricambiate da Benedetto, come a voler smorzare quelle opposte tifoserie che volevano alimentare una contrapposizione. Lì, nel monastero fatto erigere da Woityla, ha custodito nel silenzio e nella preghiera la barca della Chiesa sempre in balia di onde che rischiano di sommergerla. “Non ci sono due Papi. Il Papa è uno solo”, ha molte volte ripetuto. Quella della rinuncia al ministero di Vescovo di Roma “è stata una decisione difficile: ma l’ho presa in piena coscienza, e credo di avere fatto bene. Alcuni miei amici un po’ ‘fanatici’ sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta. Penso alle teorie cospirative che l’hanno seguita: chi ha detto che è stato per colpa dello scandalo di Vatileaks, chi di un complotto della lobby gay, chi del caso del teologo conservatore lefebvriano Richard Williamson. Non vogliono credere a una scelta compiuta consapevolmente. Ma la mia coscienza è a posto”.

 

“Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”

 

Ora è davanti al suo Signore che tanto ha amato e cercato per tutta la vita. Un incontro atteso e desiderato. Il giudizio sul suo Pontificato spetta agli storici e riempirà le pagine di libri e di quotidiani nei prossimi giorni. Che cercheranno di comprendere le ragioni di una rigidità non dottrinale ma morale, interpretata da molti come una difesa disperata di fronte alla modernità; ad un estetismo, liturgico e di costume, voluto da lui o da chi gli stava attorno?, che richiamava i modi e i tempi di una Chiesa che non c’è più.

Resta la testimonianza e la lezione di un credente e intellettuale raffinato che per tutta la vita ha sostenuto che “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”, che ha mostrato il rischio di una “dittatura del relativismo” e che, nascosti nei modi formali propri di un timido, ha saputo raccontare che all’inizio dell’essere cristiano “non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. Come ha ben scritto nella Deus caritas est: “Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un ‘comandamento’ ma è la risposta al dono d’amore col quale Dio ci viene incontro”.

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