Lunedì 14 dicembre

Verbo della settimana: ANDARE

Lunedì 14 DICEMBRE

Num 24,17

Io lo vedo, ma non ora,
io lo contemplo, ma non da vicino:
una stella spunta da Giacobbe
e uno scettro sorge da Israele».

 

Mt 21, 23-27

In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch'io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch'io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: "Dal cielo", ci risponderà: "Perché allora non gli avete creduto?". Se diciamo: "Dagli uomini", abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

 

 

 

 

COMMENTO DI DON GIOVANNI NICOLINI

 

La domanda, e il problema che essa sottende, che riguarda l’autorità del Vangelo, interessa anche noi, che fatichiamo talvolta ad accogliere l’autorità non tanto del Vangelo, quanto del Vecchio Testamento. Nei confronti di quella antica Scrittura dovremmo avere secondo me invece un atteggiamento di umile pazienza. È chiaro che per noi le scritture dell’Antico Testamento, per lontananza di tempi e anche perché siamo abituati, certe volte con abitudini non molto buone, a credere che l’oggetto della fede è la persona di Gesù, quindi quel brevissimo periodo raccontato dal Vangelo. Allora tutto il resto rischia di sembrarci molto lontano. Ma, in realtà, non è possibile entrare nel significato profondo e nell’attualità meravigliosa della parola evangelica senza tener conto di tutto quello che, Parola di Dio, ha preceduto il Nuovo Testamento.

BABETTE - Cibo per lo Spirito

Cammin. Senza sosta cammina. Va qui e poi là. Trascorre la propria vita su circa sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli è vietato. Quello che si sa di lui lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un po’ più fine, potremmo fare a meno di quel libro e ricevere notizie di lui ascoltando il canto dei granelli di sabbia, sollevati dai suoi piedi nudi. Nulla si riprende dal suo passaggio e il suo passaggio non conosce fine.

 

Sono dapprima in quattro a scrivere su di lui. Quando scrivono hanno sessant'anni di ritardo sull'evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo molti di più: duemila. Tutto quanto può essere detto su quest'uomo è in ritardo rispetto a lui. Conserva una falcata di vantaggio e la sua parola è come lui, incessantemente in movimento, senza fine nel movimento di dare tutto di sè stessa. Duemila anni dopo di lui è come sessanta. È appena passato e i giardini di Israele fremono ancora per il suo passaggio, come dopo una bomba, onde infuocate di un soffio.

 

Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l'ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine.

 

L'umano è chi va così, a capo scoperto, nella ricerca mai interrotta di chi è Il più grande. E il primo venuto è più grande di noi: è una delle cose che dice quest'uomo. È l'unica cosa che cerca di inculcare nelle nostre teste grevi. Il primo venuto è più grande di noi: bisogna scandire ogni parola di questa frase e masticarla, rimasticarla. La verità la si mangia Vedere l'altro nella sua nobiltà di solitudine, nella bellezza perduta dei suoi giorni. Guardarlo nel movimento del venire, nella fiducia in questa venuta. E quanto si sfianca a dirci, l'uomo che cammina: non guardate me. Guardate il primo venuto e basterà, e dovrebbe bastare.

 

Va dritto alla porta dell'umano. Aspetta che questa porta si apra. La porta dell'umano è il volto. Vedere faccia a faccia, da solo a solo, uno a uno. Nei campi di concentramento i nazisti proibivano ai deportati di guardarli negli occhi, sotto pena di morte immediata. Colui di cui non accolgo più il volto - e per accoglierlo bisogna che io lavi il mio volto da qualsiasi residuo di potenza - quello io lo svuoto della sua umanità e me ne svuoto io stesso.

 

Christian Bobin, L’uomo che cammina, Qiqajon

 

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