Nel bunker di Falcone e Borsellino: «Qui Palermo ritrova la memoria»

di Roberto Puglisi | Lunedì 23 maggio

 

 

 

 

 

 

 

 

Avvenire

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono tanti gli appuntamenti che scandiscono a Palermo il trentennale della grande strage di mafia. La città si prepara a rivivere il dolore di tutti, con un ventaglio di manifestazioni già domenica 22 maggio. Fra questi, alle 17, in piazza Cataldo, l’incontro-dibattito “Trent’anni dopo: dalla violenza mafiosa alla riscoperta collettiva della legalità e di una coscienza civile che rifiuta l’odio, resiste e si ribella alla mafia” con la partecipazione dell’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi, il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, il presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, il già Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, il Sostituto Procuratore Direzione Nazionale Antimafia, Domenico Gozzo.

 

Le celebrazioni avranno infine il loro culmine lunedì 23 maggio, giorno della strage di Capaci, con la "Fondazione Falcone" protagonista nell’organizzare il rito della memoria dalle 10 alle 11.30 con un palco speciale allestito per l’occasione al Foro Italico. Partecipano alla giornata dedicata alle commemorazioni il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, la presidente della Fondazione Falcone, Maria Falcone, oltre a ministri ed esponenti delle istituzioni. Alle 17.58, ora della strage, all’’Albero Falcone, davanti quella che era la casa del magistrato, viene suonato il silenzio in onore dei caduti. Alle 19 la Messa per le vittime, nella chiesa di San Domenico.

 

C’è un crocevia della memoria, a Palermo, nel cuore del Palazzo di giustizia, dove il tempo si è come fermato, lasciando spazio a una nostalgia buona che accarezza le ferite della separazione. Il suo nome è "Museo Falcone-Borsellino", ma tutti lo chiamano il bunkerino, come, in effetti, è noto. Lì, grazie alla giunta distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati, da anni sono stati ricostruiti gli uffici protetti in cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino lavoravano, vibrando colpi mortali alla mafia, prima di essere uccisi.

 

La guida di quei luoghi benedetti dalla presenza affettuosa di tante persone è Giovanni Paparcuri, eroe sopravvissuto che fa parte di quella storia e che è stato fondamentale per assemblarne i pezzi. Paparcuri era con il consigliere istruttore Rocco Chinnici, l’inventore del pool antimafia, quando il giudice fu spazzato via dal tritolo mafioso, con altre vittime innocenti, il 29 luglio del 1983. Lui stesso rimase vivo per miracolo, riportando ferite gravissime. Guarì a fatica e fu scelto da Falcone e Borsellino come stretto collaboratore, addetto alla nascente informatizzazione dei dati in occasione del maxiprocesso. Le stragi di Capaci e di via D’Amelio furono per tutti una tragedia oltre ogni immaginazione. Per "Papa" – nomignolo affettuoso impartito dai magistrati – rappresentarono una ulteriore catastrofe, ma senza alcuna resa.

 

​Ora, l’uomo che è stato marchiato a sangue dalle cosche conduce i visitatori in giro per il bunkerino. «Faccio tutto per i giovani che, magari, non hanno le informazioni necessarie, per i bambini, perché la speranza si costruisce con loro – dice Paparcuri –. Vado anche nelle scuole, parlo negli incontri organizzati, è un’attività necessaria. Ricordo un ragazzino che faceva lo spavaldo e mi chiese di ascoltare la storia di Totò Riina, perché, secondo lui, era forte, perché era il capo dei capi... L’ho chiamato vicino a me, gli ho raccontato delle mie cicatrici e gli ho detto che gli eroi sono i dottori Falcone e Borsellino, non i boss. Si è commosso, mi ha abbracciato e si è scusato». Oggi, per le regole di cautela che ancora il Covid consiglia, le numerose scolaresche vengono dirottate nell’aula bunker, dove si svolse il maxiprocesso. «I ragazzi fanno tante domande e questo lascia ben sperare – racconta Giovanni, il sopravvissuto –. Molti si emozionano, sì, anche tra i grandi. E qualcuno rimane scosso profondamente. Un giorno, è arrivato qui un pregiudicato, voleva salutare i giudici, ma non si sentiva degno di entrare. L’ho preso per mano, l’ho accompagnato ed è scoppiato in un pianto a dirotto».

 

 

 

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