Livatino: “Picciotti, cosa vi ho fatto?”

Livatino: “Picciotti, cosa vi ho fatto?”

 

di Vincenzo Bertolone

 

Rosario Angelo Livatino nasce il 3 ottobre 1952 a Canicattì (in provincia e diocesi di Agrigento) da una coppia della buona borghesia siciliana. Sarà assassinato il 21 settembre 1990, nel corso di un agguato organizzato e condotto manu militari da esponenti di ben due Stidde locali, non senza il nulla osta di Cosa nostra, lungo la Statale che conduce da Canicatttì ad Agrigento.

Era stato il suo amico giudice Saetta – forse destinato a presiedere il Collegio di appello nel maxi processo di Palermo – a essere il primo magistrato giudicante ucciso in Sicilia e in Italia. Era accaduto sulla stessa strada provinciale dove, due anni dopo, sarà ucciso anche Rosario. Una strada siciliana, una strada di sangue versato da gente di un popolo che sembra non ascoltare il rimprovero che proviene dalla passione del Venerdì santo.

 

Sangue nel paese delle arance

 

«La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito, la cui aria, in primavera, è tutto un profumo… Ma ciò che fa di essa una terra di malinconia è l’amaro di questo frutto; è il suo aspro destino di perpetua irrimediabile distruzione».

Le espressioni sono di Luigi Pirandello. Davvero parole malinconiche, che si leggono in I Vecchi e i Giovani: un romanzo a proposito del quale – circa la “stasi nella vicenda storica post-risorgimentale” e la cosiddetta “asfissia morale e sociale in parte provocata dalla Chiesa” – un critico ha potuto chiosare: «Nel romanzo I Vecchi e i Giovani(1913) Pirandello ha inequivocabilmente scelto di rappresentare la stasi della storia siciliana, la quale viene espressa nel risentimento verso il governo postrisorgimentale italiano, dedito solamente a sviluppare gli interessi del Settentrione. Si denunciano così le istituzioni religiose in Sicilia, compromesse da o indifferenti all’attività politica, e che assecondano le ipocrisie della borghesia e provocano l’inerzia delle classi operaie siciliane».

Terra asfittica, anacronistica e arcaica, dunque, indifferente ai cambiamenti sociali, pressoché senza speranza? Terra “scollegata” dalla terraferma e, in qualche modo, destinata a rimanere inerte, isolata e senza ponti?

Da parte sua, papa Francesco, citando proprio Pirandello, il 9 giugno 2022 disse che la Sicilia «ha spesso accolto i passaggi di questi popoli, ora dominatori ora migranti, e accogliendoli li ha integrati nel suo tessuto, sviluppando una propria cultura. Ricordo quando, circa 40 anni fa, mi hanno fatto vedere un film sulla Sicilia: Kaos, si chiamava. Erano quattro racconti di Pirandello, il grande siciliano. Sono rimasto stupito da quella bellezza, da quella cultura, da quella “insularità continentale”, diciamo così. Ma questo non significa che sia un’isola felice, perché la condizione di insularità incide profondamente sulla società siciliana, finendo per mettere in maggior risalto le contraddizioni che portiamo dentro di noi. Sicché si assiste in Sicilia a comportamenti e gesti improntati a grandi virtù come a crudeli efferatezze. Come pure, accanto a capolavori di straordinaria bellezza artistica si vedono scene di trascuratezza mortificanti». 

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