di Ryszard Kapuscinski | Martedì 25 gennaio
Internazionale
Certe volte, ripensando a tutti i miei viaggi, ho l’impressione che il problema principale non siano stati i confini, i fronti di guerra, le difficoltà e i pericoli, ma la continua incertezza su come sarebbe stato l’incontro con gli altri, con quelli che avrei trovato strada facendo. Ho sempre saputo che da questo elemento dipendeva tutto, o quasi tutto. Ogni nuovo incontro era un’incognita: come sarebbe cominciato, come si sarebbe svolto, come si sarebbe concluso?
La domanda in sé non è nuova. L’incontro con un altro uomo, con altri uomini, è da sempre l’esperienza universale e fondamentale del genere umano. Secondo gli archeologi i primi raggruppamenti umani erano piccole famiglie-tribù composte al massimo da una cinquantina di elementi. Se la comunità fosse stata più numerosa, difficilmente sarebbe riuscita a spostarsi con la velocità e l’agilità necessarie. Più piccola, avrebbe trovato maggiori difficoltà a difendersi e lottare per la sopravvivenza. Dunque, la nostra piccola famiglia-tribù si sposta alla ricerca di cibo. Ma improvvisamente si imbatte in un’altra famiglia-tribù. Che momento importante per la storia del mondo, che clamorosa scoperta: nel mondo ci sono altri uomini! Fino a quel momento i membri di uno di quei primigeni gruppetti di trenta o cinquanta confratelli potevano illudersi di conoscere tutti gli uomini del mondo. Ora non possono più farlo, ora quest’uomo sa che al mondo ci sono altre creature simili a lui: altri esseri umani. Ma come reagire a questa rivelazione? Che fare, che decisione prendere?
Aggredire i viandanti? Proseguire facendo finta di niente? Oppure cercare di conoscerli e d’intendersi?
La scelta davanti alla quale – migliaia di anni fa – si è trovato il gruppo dei nostri antenati si ripropone oggi a tutti noi, e con la stessa intensità: una scelta categorica e fondamentale. Come comportarsi con gli altri? Che atteggiamento avere nei loro confronti?