Fratel Charles: icona del dialogo

a cura di Lorenzo Prezzi | Lunedì 16 maggio

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il 15 maggio viene dichiarato santo fratel Charles de Foucauld. Il teologo Brunetto Salvarani, nel suo ultimo libro (Fino a farsi fratello di tutti. Charles de Foucauld e papa Francesco), oltre  al profilo biografico, ne evidenzia soprattutto la modernità del desiderio di diventare «fratello di tutti», tanto che Francesco nella sua enciclica «Fratelli tutti» lo indica come icona del dialogo.

 

  • Brunetto, perché un nuovo libro su de Foucauld?

Quella di Charles de Foucauld è una figura che sfugge a ogni definizione assoluta: ma è certo che la sua vocazione profonda sia stata di tracciare nuovi sentieri nella sequela di Gesù, senza timore di imboccare itinerari tanto radicali quanto inediti.

 

Non mi sono proposto di scrivere una sua nuova biografia, ma una riflessione su come il modello di santità ospitale vissuto dal fratello universale sia ancor oggi eloquente, e possa rappresentare un paradigma credibile nell’attuale cambiamento d’epoca, soprattutto nella prospettiva di un sempre più pressante incontro dialogico fra cristiani e musulmani.

 

Da qui la scansione del libro, suddiviso in tre capitoli in cui emergono – almeno me lo auguro – una moltitudine di fili che si potrebbero collegare l’uno all’altro in più di una direzione.

 

Nel primo capitolo passo in rassegna – senza pretesa di completezza, ovviamente – alcune fra le esperienze più significative di dialogo con il mondo musulmano, sperimentate o teorizzate sul versante cattolico del cristianesimo, da Francesco d’Assisi ai monaci martiri di Tibhirine, passando per la dichiarazione conciliare Nostra aetate e il card. Martini: all’interno di una storia densa di conflitti, fraintendimenti, incomprensioni. Gemme preziose da custodire nella nostra memoria ecclesiale, oggi così sfuocata e affaticata nel sedimentare la tradizione autentica.

 

Il secondo capitolo, servendosi spesso dei suoi scritti, si sofferma sulle vicende ardimentose e sorprendenti di de Foucauld, con l’obiettivo di mostrare quanto la sua vita risulti esemplare ma anche, paradossalmente, del tutto imitabile, nella sua ispirazione profonda, per quanti ne vogliano cogliere il senso genuino.

 

Il terzo capitolo, infine, tratteggia – a partire dai suoi testi e dal suo magistero dialogico – lo stretto rapporto che papa Francesco ha scelto di instaurare con l’eremita francese, quasi eleggendolo a punto di riferimento ideale e stella polare del suo progetto di relazioni fraterne con il mondo musulmano. Un progetto, ovviamente, del tutto antitetico al ventilato scontro di civiltà che ha furoreggiato nella cultura occidentale all’indomani dei tragici attentati dell’11 settembre 2001.

 

In tale ottica, Bergoglio sta tessendo una sistematica contro-narrazione rispetto alla ricorrente narrativa della paura. È a questo livello che si comprende il significato storico del suo impegno contro i muri e ogni forma di guerra di religione, nell’intento di svuotare dall’interno la macchina narrativa dei millenarismi settari che ombreggia una presunta apocalisse incombente e lo scontro finale. Facendoci comprendere che, come aveva ben inteso de Foucauld, in definitiva e nonostante le sirene contrarie, ospiti della terra nostra casa comune, siamo fratelli tutti.

 

Biografia e fede
  • In sintesi, quali sono i tratti salienti della vicenda umana di de Foucauld?

Charles-Eugène de Foucauld nasce a Strasburgo, in Alsazia, il 15 settembre 1858, da un’antica famiglia nobiliare il cui storico motto è “Mai ritirarsi!”; morirà in circostanze drammatiche, nel deserto algerino in cui si era spinto (e non ritirato) per seguire quella che aveva finalmente intuito essere la sua definitiva vocazione, il 1° dicembre 1916.

 

Ebbe una vita piuttosto breve, dunque, appena cinquantotto anni: eppure, le definizioni che gli si potrebbero attribuire sono tante, e variegate. Ufficiale di cavalleria ben disposto all’azione, brillante esploratore in terra africana, stimato geografo ed etnologo, meticoloso linguista e, naturalmente, uomo dello Spirito, presbitero, monaco e poi eremita in Dar al-Islam.

 

A dispetto di ciò e di un’esistenza quanto mai poliedrica, in realtà, di tutti gli obiettivi che si era dato, egli non ne raggiunse nemmeno uno: avrebbe voluto fondare un ordine religioso, o almeno un istituto di fratelli ma, nonostante ripetuti tentativi e sperimentazioni, non ci riuscì.

 

Rifiutò, d’altra parte, di diventare ciò che di volta in volta gli veniva richiesto dalla famiglia e dalle occasioni che gli si pararono davanti, dapprima studente modello e poi soldato di carriera, scegliendo di rimanere costantemente ai margini, per consegnarsi alla fine al silenzio, all’ascolto e alla preghiera.

 

Pur abitando nel deserto profondo fianco a fianco con i Tuareg, tradizionalmente musulmani sunniti, non determinò in loro alcuna conversione al Vangelo, fino a trovare la morte, assassinato per futili ragioni, quando ancora era nel pieno della sua maturità intellettuale e spirituale.

 

Per di più, infine, non lo si può dire un teologo in senso stretto, né un pensatore originale: quando morì, non aveva pubblicato nessuno dei suoi scritti spirituali né i suoi lavori di linguistica. Del resto, fu lui stesso a sceglierlo, sostenendo che le opere di misericordia da realizzarsi da parte dei futuri Piccoli Fratelli di Gesù si dovevano limitare a quelle che Gesù compiva a Nazaret: accogliere gli ospiti e dare loro l’elemosina.

 

La sua è una biografia sicuramente inquieta, quella di un uomo ansioso che non ha mai smesso di cercare: il sale della vita, se stesso, Dio, e alla fine soprattutto, e sopra ogni altra cosa, Gesù.

 

Un uomo che non sopportò le mezze misure, le mediazioni, gli equilibrismi, e tanto meno i compromessi, transitando spesso da un estremo all’altro, dagli abissi della dissipazione alla gloria mondana fino alla perfezione evangelica.

 

Ecco perché, imbattendosi in lui e nella sua storia da moderno padre del deserto, è impossibile rimanere indifferenti: o ci si innamora ingegnandosi a conoscere tutto di lui, o ci si rifiuta di farsi coinvolgere, di fronte a quello che potrebbe anche apparirci un idealista un po’ folle, incapace di fare i conti con la dura realtà. Tutto e subito, come quando Charles, il cristianesimo, lo ri-scopre (letteralmente, nel senso che riesce a togliere il velo che ne faceva la depositaria religione di famiglia, alla quale era costretto ad adeguarsi). Tanto da ammettere, nel 1886, già ventottenne: «Appena ho creduto che Dio esiste ho capito che non avrei potuto fare altro che vivere solo per lui».

 

Eppure, il nome di de Foucauld è divenuto, nel corso dei decenni, un punto di riferimento sicuro e imprescindibile per orientarsi in molteplici ambiti: ad esempio, per quanti vogliano accostarsi a una radicalità evangelica a imitazione di Gesù povero, per il sempre difficile (ma anche indilazionabile) dialogo fra cristiani e musulmani, per chi accetti di lasciarsi affascinare da una spiritualità del deserto accessibile sia ai credenti sia ai (cosiddetti) non credenti.

 

«Nella sua immagine – scrive Franca Giansoldati – forse possono riconoscersi tutti i falliti della storia». Ma già il suo primo biografo, René Bazin, aveva colto tale aspetto, presentandolo così: «È stato il monaco senza monastero, il maestro senza discepoli, il penitente che sosteneva, nella solitudine, la speranza di un’età che non doveva vedere…».

 

 

 

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