I corsi di formazione alla pace del CEPAS

I corsi di formazione alla pace del CEPAS

 

 

Il CEPAS (Centro per l’educazione alla pace e allo sviluppo) è stato un centro costituito dalle ACLI nazionali e bergamasche col fine di meglio organizzare e sviluppare iniziative a favore della pace. Il lavoro del Centro era rivolto in modo prioritario alle comunità ecclesiali. Sia a livello nazionale che territoriale dal 1983 il CEPAS propose alle comunità ecclesiali, agli oratori, ai gruppi e alle associazioni dei percorsi formativi per giovani sui temi della pace, assicurando la disponibilità di propri animatori per la conduzione di corsi sul territorio.

Nel 1985 il CEPAS propone il Progetto “I giovani e la pace camminano insieme”. La presentazione del progetto inizia con un’analisi teorica sull’importanza della pace e sui modi per attuarla.

Gli strumenti di cui è necessario avvalersi per il raggiungimento di una convivenza pacifica sono due: la non violenza e il metodo democratico. Il primo punto è fondamentale per il suo «richiamo pregnante ad atteggiamenti personali e di ascolto e di rispetto dell’avversario o del diverso, […] di accettazione alla mediazione e del compromesso compatibilmente agli obiettivi». Il secondo strumento – il metodo democratico – è imprescindibile «in quanto forma di convivenza in una società complessa che ammette le differenze, che non tende all’omologazione, che crea spazi di confronto prima e decisione poi, non autoritari o coercitivi, ma basati su regole condivise».

Il nesso che intercorre fra pace e democrazia è centrale nell’analisi portata avanti dal CEPAS. Gli autori bergamaschi del progetto “I giovani e la pace camminano insieme” ritengono che, mentre i concetti di democrazia vengono vengono applicati all’interno degli Stati, nondimeno nei rapporti internazionali tali concetti non si traducono in azioni concrete, lasciando spazio alle «regole della libera economia, della dominazione ideologica, della sicurezza nazionale» e al «metodo della violenza armata».

Il valore della pace è spesso sottovalutato, considerato inferiore ad altri valori primari come la giustizia, la vita, la libertà e il bene comune. Nella visione degli aclisti del CEPAS invece «La pace è un valore in sé in quanto mira ad una convivenza pacifica tra gli uomini».

Una volta stabiliti i valori e gli obiettivi specifici di un’educazione alla pace, è possibile ricercare i luoghi, i tempi e le metodologie per costruire itinerari di educazione alla pace.

«La prima attenzione deve essere posta verso tutti quegli ambiti che hanno già una funzione formativa». Occorre rielaborare e ripensare l’insegnamento scolastico, integrando alle materie scolastiche un approccio che tenda a far risaltare il tema della pace e dell’educazione. In secondo luogo, le chiese locali e gli oratori sono luoghi formativi in cui è opportuno «operare forme di catechesi e di evangelizzazione specificatamente legate ai problemi della pace». Infine sono da considerare luoghi in cui portare avanti un’educazione alla pace anche gli ambienti della vita sociale e collettiva, come il mondo del lavoro, le comunità locali – feste, assemblee ecc. – e le diverse forme di aggregazione presenti sul territorio. Di grande importanza sono le esperienze di cooperazione e volontariato internazionale, mediate da laici e religiosi attivi nei paesi poveri e delle quali è particolarmente ricca la realtà bergamasca. I temi fondamentali sui quali si vuole far prendere coscienza alle diverse realtà del territorio sono i nessi economici del riarmo e del sottosviluppo, l’interdipendenza fra le scelte produttive e commerciali del nostro sistema e quelle dei sistemi più poveri, la necessità di un’espressione concreta «di solidarietà, di incontro e dialogo tra loro per riconoscere i bisogni più veri».

 

Nella ricerca delle radici della violenza e della pace, si individuano diverse sorgenti in cui esse nascono e si sviluppano. Prima fra tutte è l’interiorità dell’uomo, nella quale ciascuno è capace di compiere scelte responsabili di amore e di odio; c’è poi la cultura: i costumi che caratterizzano un gruppo sociale possono essere dei focolai per la generazione di violenza e pace; infine, con un tono un po' più religioso, si individua l’origine di amore e odio, pace e violenza, nell’apertura o chiusura all’amore di Dio. Da questa analisi emerge che i luoghi in cui violenza e pace hanno origine sono molteplici e di differente natura, e così polivalente dovrà essere anche l’azione per la pace, che «avrà finalità ed obiettivi diversificati da costruire». Le declinazioni della pace che il CEPAS intende perseguire sono quattro: la pace personale interiore, interpersonale, relazionale; la pace sociale e civile; la pace politica; la pace culturale, morale, religiosa. Il conflitto non deve essere evitato, bensì compreso e rielaborato, in quanto «le diversità da cui scaturiscono possano essere non più competitive ma collaborative nel reciproco rispetto».

 

«L’obiettivo che si prefigge il nostro impegno di educazione alla pace è di far emergere la coscienza che la pace è un bene e un valore “sintetico”», che non deve essere assunto nell’accezione riduttiva e fuorviante di “assenza dei conflitti”, e deve essere «collegato ai valori della verità, della giustizia, della libertà, della solidarietà».

Consapevoli che la pace non si può insegnare come se fosse una tecnica qualsiasi, e consapevoli dei limiti che costituiscono un progetto di educazione alla pace, gli autori del progetto si pongono l’obiettivo di dare uno stimolo per affrontare la questione, con l’obiettivo che poi i singoli e i gruppi possano usare i nuovi strumenti acquisiti e una maggiore consapevolezza sull’argomento per poi proseguire da soli il cammino. Come dicono gli autori stessi, «nostro intento è di educare le persone ad autoeducarsi».

 

Il principale ostacolo da superare nell’ottica di realizzare questo progetto è l’atomizzazione della società, frammentata in piccoli ambiti ristretti e chiusi in difficile comunicazione tra loro. Per costruire la pace «occorre collegarsi, coordinarsi, superare lo spezzettamento in tanti gruppetti incomunicanti». Soprattutto, bisogna abituarsi «a comunicare e interagire con altri, senza chiusure e sospetti ma senza neppure timori reverenziali e dipendenze», in modo da creare una comunicazione da pari a pari.

L’educazione alla pace deve avere come esito la realizzazione di gesti di pace. Spesso, quando i giovani prendono coscienza della vastità dei pr0oblemi, vengono presi da un senso di impotenza, per superare il quale «occorre proporre gesti operativi concreti».

 

Data la complessità degli obiettivi del progetto, i proponenti richiedono che i gruppi partecipanti siano già formati.

 

Il primo incontro che si terrà tra il CEPAS e il gruppo partecipante è finalizzato alle presentazioni e alla creazione di un’atmosfera adatta al dialogo; ciascun partecipante sarà invitato a parlare dei propri vissuti rispetto alla pace e alla violenza. Nella seconda fase è previsto un gioco di ruolo: il gruppo si divide in due parti, incaricate di sostenere due posizioni contrapposte; in questo modo si valorizza il confronto e lo spirito positivo del dialogo, strumento ideale per la formazione di nuove idee e per la correzione di quelle già esistenti. «Infine, al termine dell’incontro, viene razionalizzato il materiale prodotto e raccolto in alcune domande-chiave».

Nel secondo incontro si pone l’attenzione sulla validità universale dei valori fondanti la pace, con un’attenzione a cercare la chiarezza delle definizioni, in modo da indicare un quadro concettuale a cui associare una ricerca di valori. Negli incontri seguenti si costituiscono ancora piccoli gruppi che, dopo aver approfondito alcune letture proposte dal relatore, affrontano una discussione al loro interno per poi esporre a tutti il loro lavoro. Nel sesto e ultimo incontro vengono proposti esempi di possibilità di iniziative, di progetti realizzabili in una realtà locale; successivamente si discute su quali progetti si possono effettivamente portare avanti sul territorio.

«Questa realtà così ricca di umanità, di solidarietà concreta, sensibile ad un cambiamento a partire dalla dimensione dei valori e degli impegni personali è un bene forse poco conosciuto perché silenzioso. Ma attraverso queste esperienze e testimonianze è passato e può ancora passare nella società, a partire dai singoli, un nuovo stile di vita ed una nuova concezione dello sviluppo».

Il progetto “I giovani e la pace camminano insieme” del 1985 non è stato ovviamente l’unica attività proposta dal CEPAS. L’archivio storico della ACLI Provinciali ci offre testimonianze interessanti anche di quello che il Centro di Educazione alla Pace e allo Sviluppo ha portato avanti nel 1989. Il segretario del CEPAS Enrico Gotti scriveva in una lettera di invito - rivolta a chi in passato aveva collaborato con il Centro - gli argomenti sui quali si sarebbe concentrata l’attività del Centro durante il corso di quell’anno. Ne approfittiamo per ribadire, ancora una volta, le finalità dei giovani aclisti impegnati nel lavoro del CEPAS. «Motivo primo di questa nostra iniziativa è la convinzione della necessità di alimentare continuamente il confronto e la crescita culturale, anzitutto la nostra, affinché l’impegno sui temi della Pace e dello Sviluppo non si riduca a puro attivismo ma si reinterroghi sempre sui suoi obiettivi di fondo, nel confronto con una realtà in continuo movimento ed attingendo a specifiche scienze umane». In particolare, per l’anno ’89 gli argomenti che il Centro si prende l’impegno di affrontare sono due: il pregiudizio e i conflitti intergruppo da un lato, la sicurezza e la cooperazione in Europa dall’altro. Il primo si pone il compito di interrogarsi sulla natura dei fenomeni di razzismo e intolleranza tra i gruppi, in un’ottica di comprensione scientifica dei processi che originano tali fenomeni; centrali sono gli approfondimenti che si intendono fare sui ruoli del pregiudizio e dello stereotipo. Il secondo argomento, quello della sicurezza e della cooperazione in Europa, è oltremodo attuale, in quanto ad essere affrontati sono anche i temi del riarmo e dell’ammodernamento delle forze armate della NATO. Dalla volontà degli aclisti di concentrarsi su tali tematiche, comprendiamo che molte di queste non caratterizzano soltanto il nostro periodo storico, ma hanno una sotira più lunga, e il contributo datoci dalla generazione passata di volontari può darci strumenti in più per affrontare i problemi del nostro tempo.

 

Il corso di formazione del 1986 - “La pace è il destino dell’uomo” – si presenta con un testo che vogliamo citare per la sua bellezza ed efficacia:

«I problemi della pace e della guerra sono complessi. Di questa complessità bisogna occuparsi senza cedere troppo rapidamente alla tentazione di rinunciare perché non di tutto si riesce a venire a capo. Possiamo anche immaginare che i sentimenti individuali dei cittadini siano, in larghissima maggioranza, pacifisti, ma, purtroppo, si tratta di un pacifismo astratto. È questa la difficoltà maggiore che si incontra. Il dare, cioè, concretezza ai temi della pace, è riuscire a non cadere nelle due trappole: la prima è quella connessa a un discorso puramente moralistico del “vogliamoci tutti bene e il mondo cambierà”, la seconda è quella fatalista per cui il problema è così rande che resta fuori dalla nostra portata e, pertanto, non vale nemmeno la pena impegnarsi. Entrambe le concezioni sono da rivedere: la pace non può essere he il risultato positivo di un cambiamento di “politica” che coinvolge molti aspetti della società moderni quali il lavoro, lo sviluppo, la distribuzione delle ricchezze. È necessario trovare un modo nuovo per affrontare e controversie che non sia la violenza; alla “Istituzione guerra” bisogna sostituire “l’istituzione pace”, ma questo mutamento, che non può essere immediato, richiede la partecipazione di tutti noi. L’enorme potenziale esplosivo racchiuso negli arsenali atomici, più che sufficiente per porre fine alla storia dell’uomo, non può considerarsi il frutto del sadico disegno di un piccolo gruppo di guerrafondai che, staccandosi dalla comunità, ha creato in proprio un impero delle armi: è, invece, una realtà che ci vede, in qualche modo, coinvolti. Prendere coscienza di un problema è il primo passo per poterlo risolvere e questo è lo scopo del corso.»

In un mondo sempre più complesso e interconnesso, il lavoro per la pace non è mai stato così urgente e necessario. La pace non è solo l’assenza di conflitti, ma una condizione attiva che richiede giustizia sociale, rispetto dei diritti umani e lo sviluppo di relazioni armoniose tra le persone e le nazioni. Il CEPAS, con il suo impegno quotidiano, ci ricorda che la pace non è un obiettivo distante o irraggiungibile, ma una costruzione costante e collettiva. Attraverso l’educazione, il dialogo e l’inclusione, possiamo gettare le basi per un futuro in cui solidarietà e sviluppo siano il pilastro di una convivenza pacifica. Il loro lavoro ci invita a riflettere sulle nostre responsabilità individuali e collettive nel promuovere un mondo più giusto e sereno, dove la pace non sia solo un sogno, ma una realtà tangibile per tutti.

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