A piccoli passi verso il baratro

A piccoli passi verso il baratro

 

di Giuseppe Savagnone

 

 

 

 

All’inizio di aprile il premier polacco Donald Tusk, in un’intervista, aveva ammonito: «Non voglio spaventare nessuno, ma la guerra non è più un concetto del passato»; per la prima volta dal 1945, con gli ultimi sviluppi della crisi ucraina, «ogni scenario è possibile». Sono trascorse poche settimane da quella dichiarazione, e il corso degli eventi sta confermando, con il succedersi rapidissimo di sviluppi fino a poco tempo fa impensabili, il suo carattere profetico.

 

 

Truppe europee in Ucraina?

 

È stato l’andamento stesso delle operazioni militari, nettamente sfavorevole agli ucraini, a determinare questi «balzi in avanti». Per contenere l’avanzata delle truppe di Putin, gli occidentali stanno tentando disperatamente di aumentare e accelerare la fornitura di armi a Kiev, ma è forte il dubbio che questo non sia sufficiente, anche tenendo conto della superiorità numerica dell’esercito russo e dell’assottigliarsi delle risorse umane ucraine.

 

E così il presidente francese Macron, ai primi maggio, in un’intervista a The Economist, riprendendo un’ipotesi già avanzata a febbraio circa l’opportunità di inviare truppe europee sul terreno di guerra, ha dichiarato: «Se i russi sfondassero in prima linea, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene –, dovremmo legittimamente porci la domanda». Anche questa volta, come già alla sua prima uscita, questa apertura a un coinvolgimento diretto degli europei nella guerra in corso è stata accolta da un coro unanime di dissensi. Ma adesso meno convinti e risoluti.

 

Sono cominciati ad affiorare i primi «distinguo». Fornire truppe europee a Kiev – si osservava in un articolo di Foreign Affairs – non significa necessariamente utilizzarle per combattere al fronte. I soldati inviati dall’Europa potrebbero addestrare le unità dell’esercito ucraino, assisterle nell’uso e nella riparazione delle armi fornite dall’Occidente, curare gli aspetti logistici…

 

In questa logica, la Francia si prepara già ad inviare degli istruttori militari e, secondo un’accreditata fonte diplomatica, ne darà l’annuncio ufficiale entro «una, massimo due settimane», probabilmente in coincidenza con la partecipazione – fortemente simbolica – del presidente ucraino Volodymyr Zelensky alle celebrazioni dello sbarco in Normandia, che si svolgeranno il 6 giugno prossimo. Già forme di addestramento di militari di Kiev si sono svolte in vari Stati occidentali.

Ma ora «gli ucraini vogliono che l’addestramento sia fatto sul loro territorio, risolverebbe molti problemi logistici e, per molti alleati, questo ha senso». La fonte sottolinea che all’iniziativa si assoceranno «altri paesi». E commenta: «Il tabù è stato infranto».

 

 

Colpire la Russia

 

Ma anche un secondo tabù vacilla, anzi sembra sul punto di cadere. Qualche giorno fa il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha esortato gli Stati dell’Alleanza atlantica a riconsiderare i limiti all’invio di alcune armi all’Ucraina.

«È giunto il tempo per i Paesi membri della NATO di considerare se debbano revocare alcune delle restrizioni all’uso delle armi che hanno donato all’Ucraina», ha detto Stoltenberg in un’intervista a The Economist. «Negare all’Ucraina la possibilità di usare queste armi contro obiettivi militari legittimi nel territorio russo rende loro difficile difendersi». Sottolineando che questa eventuale decisione spetta comunque ai singoli membri della NATO. Infatti alcuni di essi, tra cui l’Italia, sono stati fino a questo momento riluttanti nel fornire a Kiev armi più potenti e a più lunga gittata, che trasformerebbero la difesa dell’Ucraina in un attacco alla Russia.

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