di Alessio Marchionna | Venerdì 14 gennaio
Internazionale
Uno degli aspetti più interessanti della transizione energetica verso fonti rinnovabili è il modo in cui trasformerà (sta già trasformando, in realtà) gli assetti geopolitici. Come è successo dopo l’avvento dei combustibili fossili – che per la maggior parte dell’ultimo secolo hanno condizionato i rapporti tra i paesi – anche la corsa alle risorse necessarie per ridurre le emissioni di anidride carbonica creerà dei vincitori e degli sconfitti, e probabilmente ribalterà alcuni dei rapporti di forza attuali.
In linea di massima gli analisti tendono a pensare che i paesi che hanno costruito la loro politica estera sulla vendita di petrolio e gas naturale perderanno peso sulla scena internazionale, a vantaggio di quelli che detengono le materie prime necessarie per sostenere la transizione energetica e di quelli che riusciranno a sfruttarle.
Ma, come spiega un lungo e interessante articolo di Foreign Affairs, è meglio non fare valutazioni avventate in proposito, perché molto dipenderà da una serie di fattori che al momento sono difficili da prevedere – come i cambiamenti nelle catene di distribuzione, l’introduzione di nuove tecnologie, la scoperta di nuovi giacimenti – e anche perché il processo sarà molto lungo. “I cosiddetti petrostati vivranno un periodo positivo prima che cominci il loro declino, perché i combustibili fossili convivranno inizialmente con le fonti rinnovabili, soprattutto per consentire la crescita di paesi in via di sviluppo”.
Inoltre è probabile, come sostengono i promotori delle energie pulite, che un mondo basato sulle rinnovabili sarà più stabile e sicuro di quello attuale; ma il periodo di transizione – i prossimi trent’anni – sarà segnato da sconvolgimenti senza precedenti negli equilibri globali, nelle dinamiche di potere e nella situazione generale dei singoli stati.