@Daniele Rocchetti
La barca e il mare | 11 marzo 2023
La “Pacem in terris”. Ha 60 anni ma non li dimostra
L’ultima parola del pontificato
La Pacem in terris – “il manifesto del mondo nuovo”, come subito la definì Giorgio La Pira – fu dunque l’ultima parola del suo pontificato. Dopo la sua pubblicazione il vecchio Papa non fece che vivere di quella parola, custodendo il mistero della pace che aveva annunciato, riproponendolo più volte e in diversi modi, e ammirando lo straordinario impatto che esso aveva avuto nel mondo. “Per la Pacem in terris – disse nella penultima udienza generale – anche le pietre, lo si potrebbe affermare, si sono scosse e sollevate”.
E in effetti la ricezione fu straordinaria ed ebbe una risonanza superiore ad ogni più rosea previsione. Se ci fu chi, in Italia e anche dalle nostre parti, la chiamò, per disprezzo, la “Falcem in Terris”, molte furono, in tutto il mondo, le recensioni positive. Il New York Herald Tribune scrisse che “in nessun momento dall’epoca della Riforma, forse anche dall’epoca della separazione delle Chiese di Oriente e di Occidente, un vescovo di Roma si era rivolto ad un uditorio così vasto e così ricettivo”. Mentre il “Washington Post” scrisse che: “non è solo la voce di un vecchio prete né solo quello di un’antica chiesa. E’ la voce della coscienza del mondo”. La stessa Tass, l’agenzia sovietica sempre restia a parlare di argomenti religiosi, ne pubblicò un largo riassunto.
La novità dei contenuti e del metodo
Ma dove stava la novità dell’enciclica? Il testo si presenta come un grande affresco sui problemi dell’umanità a partire da una convinzione: l’impresa di costruire la pace “sulla terra” è un obiettivo che può benissimo essere perseguito. Infatti “esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità”.
Non solo: per la prima volta, nel corso della storia della chiesa, un’enciclica non era rivolta solamente a cardinali, vescovi e popolo di Dio. Essa era indirizzata “a tutti gli uomini di buona volontà”. Come a voler sottolineare che la pace, dono del Risorto per i credenti, è un valore attorno al quale si possono e devono ritrovare gli uomini di tutte le confessioni religiose, perché è un valore umano fondamentale. Il testo inoltre organizza tutta la materia utilizzando la categoria evangelica dei «segni dei tempi» che papa Giovanni aveva già introdotto due anni prima nella Costituzione apostolica Humanae salutis. Supera il metodo deduttivo da sempre utilizzato nelle encicliche sociali.
Fra i «segni dei tempi», vengono ricordati l’ascesa economico – sociale delle classi lavoratrici, l’ingresso della donna nella vita pubblica, il fatto che tutti i popoli si siano costituiti in comunità politiche indipendenti. C’è un invito a superare il concetto della guerra come «strumento di giustizia» tra i popoli. “Alienum est a ratione”, dice il testo latino. E cioè “è irragionevole e folle” (da “fuori di testa”, insomma) pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia.