di Jorie Horsthuis | Martedì 18 gennaio
Internazionale
Per Marko Djogo è sempre un momento doloroso quando un suo studente si laurea e gli dice che sta per partire. Di recente gli è successo con una coppia: sia il ragazzo sia la ragazza erano stati suoi studenti. Per quattro anni li ha visti crescere, dal punto di vista intellettuale e da quello emotivo. È molto importante per il nostro paese, ha sempre pensato Djogo, perché abbiamo bisogno di giovani così. “Professore, grazie di tutto”, gli ha detto invece la ragazza dopo l’ultimo esame. “Ci sposiamo e ce ne andiamo” .
“In bocca al lupo”, ha risposto il professore. Cos’altro poteva fare? Come docente di economia all’università di Pale, nella Repubblica serba della Bosnia Erzegovina, capisce perfettamente perché i ragazzi cercano fortuna altrove. Dopotutto per quale motivo dei giovani accademici dovrebbero rimanere in un paese messo in ginocchio dalla corruzione e dove la lealtà a un partito conta più delle capacità intellettuali, un paese ancora piegato sotto al peso dei traumi della guerra degli anni novanta, e che rischia presto di dover affrontare un nuovo conflitto?
Ma dentro di sé inorridisce: per quattro anni ha investito in quegli studenti, nella speranza che – insieme alla nuova generazione – una brezza fresca tornasse ad attraversare il paese. Ma se quella nuova generazione se ne va in massa, ci vorrà ancora un bel pezzo prima che cambi qualcosa.