di Michele Gambirasi | Il Manifesto di venerdì 20 giugno
«Pensare che l’Europa debba misurarsi in base alle armi che ha e che riesce a produrre è un passo indietro nella storia ». Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli, è convinto che la febbre del riarmo rischi di portare il vecchio continente a un punto di non ritorno.
Avete parlato della necessità di una politica estera comune e di difesa comune, e che la sicurezza si fonda su welfare e lotta alle diseguaglianze. Welfare e riarmo sono alternativi?
Il riarmo peggiora totalmente la vita delle persone: il contrario di guerra non è solo pace, ma welfare, giustizia sociale, costruzione della democrazia, partecipazione. Non ci può essere pace senza giustizia: non è la guerra che deve essere preventiva, è la giustizia a essere preventiva. L’idea dell’Europa di riarmarsi è contro la sua storia, fatta di memoria, incontro, dialogo, riconciliazione tra Paesi che litigavano per le risorse della terra. La condivisione ha fatto sì che l’Europa diventasse quello che è oggi, l’affermazione dello stato sociale.
Anche le Acli saranno in piazza sabato contro il riarmo: hanno aderito 440 sigle. Sulla pace è diventata urgente una convergenza trasversale?
La pace spero che sia un’urgenza, tutti quelli che hanno a cuore l’umanità sanno che la pace è la prima cosa da mettere al centro. Ci si sta avvitando sempre di più in questo mondo che è dentro la terza guerra, è inutile nasconderselo. È necessaria la convergenza di tutti: l’eciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII è scritta per tutti gli uomini buona volontà. Dobbiamo tornare alla pace delle parole di papa Leone XIV: «Disarmata, disarmante, umile e perseverante ». Noi saremo perseveranti e staremo sempre sul fronte della pace.
Nell’ultima legge di bilancio le spese militari hanno toccato la quota record di 32 miliardi, poche settimane fa è arrivata la stretta autoritaria del dl sicurezza: il riarmo è già qui?
Il riarmo è già nella società: bisogna promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione, progetti di accoglienza, trasformare la paura verso l’altro nell’opportunità di starsi vicino, di incontrarsi. È nelle comunità che bisogna cercare la pace, combattere il disimpegno morale delle persone, che vedono la guerra lontana e considerano i morti palestinesi diversi dagli altri morti. Ci si autogiustifica e invece bisogna continuare a indignarsi. Bisogna fare qualcosa: ognuno di noi può essere il colibrì che porta una goccia d’acqua sulla foresta in fiamme. Siamo allibiti dalla mancata presa di posizione del governo nei confronti di Netanyahu, e siamo allibiti anche di come ci si sta scordando di quello che fa la Russia con l’Ucraina. In un mondo così la diplomazia italiana, che è sempre stata al centro con la sua capacità di dialogo, ora è rimasta al palo. Armi e decreto sicurezza non possono essere la risposta, così come non può essere una risposta andare in giro portandosi dietro le grandi aziende belliche come Leonardo.
In favore del riarmo viene portato l’argomento della ripresa industriale: i lavoratori hanno veramente da guadagnare dalla riconversione bellica?
Abbiamo tutto da perdere: i soldi vengono distratti da altre spese più produttive, non c’è cosa più inutile delle armi. Serve spendere su sanità e istruzione e continuare a investire sulla transizione ecologica, lì c’è una traccia di futuro. Bisogna fare a attenzione a parlare di riconversione industriale perché poi tornare indietro è difficile.
Dal palco del 7 giugno ha criticato l’uso bellico delle religioni: c’è bisogno oggi di disarmare le coscienze?
Abbiamo bisogno di smettere di usare le religioni come luogo di differenze, perché sono quelle che uniscono, che tirano fuori l’umanità più profonda, la spiritualità di ognuno di noi. Non siamo al tempo delle crociate. Inviterei a leggere il messaggio alla fratellanza umana di papa Francesco sulla scritto ad Abu Dabi. Quando siamo scesi in piazza il 5 novembre 2022 ci davano dei putiniani, non si capiva l’urgenza dello scenario della terza guerra mondiale a pezzi di papa Francesco. Stiamo scegliendo la guerra al posto della diplomazia, stiamo distruggendo le istituzioni multilaterali, stiamo distruggendo la convivenza civile nel pianeta.