di Pierangelo Sequeri | Lunedì 18 ottobre
Avvenire
Da oggi l’intera cattolicità del pianeta – tutte le comunità e ogni singolo – è convocata ad assumere una postura "sinodale". Un evento enorme. Ma che significa questo, esattamente? In un primo senso, il più semplice (si fa per dire), questo significa che i cattolici sono sollecitati a creare le condizioni in cui tutti si impegnano ad ascoltare tutti su ciò che significa portare la testimonianza di Gesù come speranza per la storia del mondo. Dove sta la novità? La novità è duplice.
In primo luogo, la postura sinodale fa parte della costruzione della domanda, non è semplicemente l’effetto funzionale della risposta. Non si tratta di organizzare un convegno di studio, né di eleggere un parlamento di rappresentanti. Non si tratta neppure di fare un super-concilio ecumenico per la riforma ecclesiastica o di indire gli stati generali della riscossa cattolica. Si tratta di riportare in vita un costume retoricamente enfatizzato e quotidianamente rinviato. Il costume dell’ascolto reciproco dei fratelli e delle sorelle che condividono e patiscono la medesima fede: la maggior parte dei quali non osa neppure più pensare di poter essere ascoltata. Molte donne e molti uomini fanno parte di una comunità dove la vita nella fede della grandissima parte dei credenti è perfettamente sconosciuta.
Di questa vita dei nostri fratelli e sorelle nella fede dispersi abbiamo bisogno: un grande bisogno. Si tratta della vita della fede in presa diretta con la fatica di vivere, con il peso dei fallimenti, con la mortificazione dell’isolamento.