Don Milani, la musica e il riscatto

Nelle scorse settimane è stato pubblicato Il pentagramma di Lorenzo Milani. Musica per la libertà, il Pozzo di Giacobbe, 2021. Lo storico Sergio Tanzarella spiega l’interesse del priore di Barbiana per la musica – il suo studio, la sua esecuzione – a partire da una lettera dello stesso Milani a Giorgio Pecorini: «Io i miei figlioli li amo che ho perso la testa per loro, che non vivo che per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare? […]». Commenta l’autore: «Proprio per arrivare a far crescere, aprire, sbocciare e fruttare tutto poteva e doveva essere utilizzato: dunque anche la musica ma senza egoistica voluttà e sterili estetismi.

 

Il volume

Il testo si snoda in quattro agili capitoli seguiti da due interessanti appendici. Nel primo capitolo si tratta dell’esperienza musicale al seminario di Firenze. In particolare ci si sofferma molto positivamente sull’esperienza del canto, del gregoriano, dello studio della musica.

 

In una seconda sezione si descrive come don Milani introdusse la lettura degli spartiti nella scuola popolare di San Donato a Calenzano. Pratica collegata al quadro ideale della scuola ossia la lotta all’analfabetismo – anche quello musicale – imposto di fatto da chi detiene le leve del potere politico, economico e culturale. È in quel contesto che si sviluppa il rapporto con il giovane musicista Antonino Luciani, maestro di «lettura della partitura». Molto bella la lettera di Milani – del dicembre 1953 – a Luciani dopo la prima lezione da lui tenuta ai ragazzi della scuola: «[…] E poi volevo dirti che ti sono tanto grato perché hai avuto ragione del nostro duro realismo e ci hai fatto per una sera volare in un cielo diverso dal nostro. Che i ragazzi fossero vinti e avvinti l’avrai visto anche da te. È la prima volta nella storia della nostra scuola che nessuno ha dormito».

 

In un terzo capitolo, dopo l’allontanamento e l’esilio – Tanzarella dimostra che fu davvero tale –, si narra dell’utilizzo del metodo Luciani anche presso la scuola di Barbiana. Colpisce molto una lettera della mamma di Milani dopo una visita nel fine estate del 1960. Descrivendo con stupore una lezione di ascolto e solfeggio del concerto n. 5 opera 73 per pianoforte e orchestra di Beethoven afferma:

 

«[…] lassù come al solito – i ragazzi ora sono venti. Spesso sono ammirata ed esaltata dalla bellezza e eccezionalità di quell’ambiente. Altre volte la miseria, il sudiciume, il disagio di quella vita mi prende alla gola. Non mangiano abbastanza, non si lavano, puzzano, quel secchio d’acqua che portano da lontano è lurido e poi li vedi tutti e venti solfeggiare incantati il concerto Imperatore davanti a una macchina di loro invenzione che svolge uno spartito sotto i loro occhi mentre il grammofono suona. E si sente che lì tutti i valori sono diversi dai nostri».

 

Il testo viene corredato di una belle foto di Barbiana durante una lezione di musica che viene descritta come un simbolo reale di un modo complessivo di intendere la scuola e la musica stessa: «Se al centro della vita di Barbiana vi era la parola come possibilità di libertà da ogni schiavitù e dominio, la musica quel giorno d’estate non era da meno. […] si trattava allora di una aperta contrapposizione al potere, prova della necessità del riscatto e dimostrazione della possibilità della liberazione».

 

In un quarto capitolo, ormai collocato nel contesto degli ultimi anni di don Milani, si descrive la visita – del 1959 – alla Scala che è fonte di attenzione musicale, ma anche di attenta critica sociale. Critica alla logica del potere e del privilegio che risuona significativamente anche nella visita in Vaticano nel maggio 1962. Coerentemente il capitolo si conclude con alcune affermazioni che vale la pena riportare per intero:

 

«La musica a San Donato a Calenzano prima e poi a Barbiana è suonata […] come la prova di un autentico riscatto, ingresso inaudito nella riserva delle élite che tengono in ostaggio la musica come la lingua coltivandole come fossero totalmente proprie. Rendere quindi accessibile la musica a coloro che per classe sociale ne erano stati privati fu un atto semplicemente rivoluzionario ed inaudito. Si trattò, infatti, di una musica e di un canto votati alla libertà. Era l’attuazione di un pericolosissimo, per i moderati e i conservatori di professione, progetto di liberazione, un progetto semplicemente e autenticamente evangelico».

 

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