di Pierangelo Sequeri | giovedì 1 aprile
Avvenire
È un onore essere ammessi in quella sala. Il sacramento, proprio questo fa: ci introduce realmente in quella sala, ci rende partecipi dell’intimità di Gesù con i discepoli, fa risuonare per noi le stesse parole e distribuisce fra noi lo stesso pane e lo stesso vino. Il mistero del suo corpo dato e del suo sangue versato si fa ospitale per noi: e noi siamo coinvolti in esso fino alle profondità più intime del nostro essere.
Ci avevano detto che la religione è quando gli uomini sono sacrificati a Dio. In quella sala apprendiamo che Dio si sacrifica per gli uomini. E non erano parole. In capo a una sera e a una mattina, succederà davvero.
Tutta la violenza e l’avvilimento del mondo verranno attirati sul Crocifisso e inghiottiti nel suo sepolcro. Il sangue della violenza inflitta all’essere umano, persino in nome di Dio, non sarà mai più benedetto. Il sangue liberamente versato per risparmiarlo sarà benedetto per sempre. Una differenza abissale e senza equivoci viene stabilita qui, in eterno e per tutta la storia, fra il sacrificio del dono di sé e il risparmio dell’altro uomo.
Il segno di questa differenza, che ci redime, va intimamente condiviso, non spavaldamente esibito: va iscritto nella tenerezza di un incontro conviviale, nell’umiltà della lavanda dei piedi, nel composto struggimento di un amore di amicizia
e di fraternità che viene messo alla prova. Un amore che, nello stesso tempo – e accada quel che accada – viene reso certo di saper resistere anche alla morte.