di Walter Veltroni | Lunedì 24 gennaio
Corriere della Sera
Abbiamo compiuto molte legittime forzature per contrastare la pandemia. Lo abbiamo fatto come e più di altri Paesi. Abbiamo ottenuto risultati che ci hanno consentito di frenare il virus. Non credo si possa rimproverare ragionevolmente nulla a chi ha avuto la ventura di affrontare questa sfida. E si è sforzato, nello stesso tempo, di garantire sostegni economici e di promuovere il recupero di prestigio europeo e internazionale dell’Italia. È stato questo il senso del lavoro di Sergio Mattarella e Mario Draghi. Un patrimonio per il Paese che sarebbe assurdo e pericoloso disperdere.
Ma è stato decisivo anche lo sforzo generoso di milioni di italiani, capaci di rimboccarsi le maniche e di rispettare le regole. Così il nostro Paese ha sopportato e ha reagito alla sfida più dura dal dopoguerra. Ma forse ora è il momento di accompagnare allo sforzo di arginare l’epidemia una più chiara e determinata volontà di ritrovare urgentemente la normalità.
Il Paese è stremato. Lo sono gli operatori sanitari, in primo luogo, capaci di sopportare questo tsunami che si è ripetuto a ondate molte, troppe volte in questi ventiquattro mesi. Tanti ne sono ormai passati, dal paziente zero. Ventiquattro mesi. Un periodo troppo lungo, che ha seminato di morte, ansia e fatica la vita dell’intero Paese, che ha portato alla perdita di un numero spropositato di vite umane — ogni giorno è come se cadesse un aereo — e alla scomparsa di posti di lavoro e di imprese, due dimensioni la cui comunità di destino è apparsa evidente in questo terremoto.
I negozi con le saracinesche abbassate ormai dipingono di grigio il panorama urbano, trasmettono quel senso di svuotamento della nostra vita quotidiana che si è impadronito di noi. Le città si vanno spegnendo, anche senza lockdown. Psicologicamente si sta facendo strada un sentimento di rinuncia alla vita collettiva, alla condivisione del tempo e delle esperienze, una propensione a definire lo spazio imposto, la casa, come l’ambito in cui tutto si consuma: il lavoro, l’intrattenimento, la formazione.