di RiVolti ai Balcani | venerdì 01 gennaio 2021
Altreconomia
“RiVolti ai Balcani” chiede l’immediato e urgente intervento di istituzioni europee, internazionali e locali nell’area di Bihać, e una soluzione di sistema a lungo termine che assicuri a migranti, richiedenti asilo e rifugiati il rispetto dei diritti umani fondamentali. “Come cittadina della Bosnia Erzegovina sento il diritto di insistere e ottenere da tutte le rappresentanze politiche a tutti i livelli che assicurino immediatamente un’assistenza e un alloggio dignitosi a tutte le persone in movimento. E chiedo altrettanto alla comunità internazionale che ha ancora un protettorato in Bosnia Erzegovina che si assuma la responsabilità di questa situazione. Questo crimine contro l’umanità che si sta attuando deve finire subito. Le persone continuano a congelare per le strade e sulle montagne e la domanda è quando cominceranno a morire. Tanti cittadini aiutano singolarmente come possono, ma per fermare questa catastrofe è necessaria una soluzione di sistema che rispetti la dignità e i diritti umani di queste persone. Coloro che operano in istituzioni pubbliche locali e internazionali sono responsabili di questa catastrofe. Non voglio e non accetto che la Bosnia Erzegovina diventi di nuovo una valle di fosse comuni, sinonimo di crimini, morte e ingiustizia”.
“RiVolti ai Balcani” raccoglie e condivide l’appello che arriva da singoli cittadini e cittadine, attivisti e volontari bosniaci oltre che dalla rete regionale Transbalkanska Solidarnost, affinché si fermi la catastrofe umanitaria che si sta consumando specialmente nel Cantone di Una Sana dove 3.000 migranti, richiedenti asilo e rifugiati, vivono all’addiaccio. Di questi 1.500 nel campo temporaneo di Lipa, a 30 chilometri da Bihać, per i quali non vi è stata la volontà né dalle autorità locali né da quelle internazionali di trovare una soluzione. Sono mesi che diverse organizzazioni internazionali, associazioni e volontari denunciano le condizioni insostenibili in cui vivono queste persone arrivate attraverso la rotta balcanica della migrazione. In primis nella tendopoli di Lipa, non predisposto per i mesi invernali, dove l’acqua veniva portata da una cisterna e la poca elettricità era prodotta da generatori. Come altri campi di transito in Bosnia, gestito dall’Organization for Migration (IOM) BiH, ma la cui costruzione o adattamento è in capo alle autorità del Paese.
Nonostante l’appello della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dell’Unhcr, e del successivo –vano- tentativo del Consiglio dei ministri bosniaco a spingere le autorità cantonali a prevedere un’accoglienza in strutture adatte, IOM ne ha deciso la chiusura e il 23 dicembre -giorno previsto per lo sgombero da parte di IOM- il campo è andato quasi completamente distrutto in un incendio.