di Massimo de Angelis | lunedì 11 gennaio 2021
L'Osservatore Romano
L’enciclica Fratelli tutti è un richiamo pressante a inoltrarci con coraggio nel mondo nuovo. E a cogliere i segni dei tempi, anche quando questo possa apparire quasi impossibile. Quei segni e quel mondo disvelati, da ultimo, dal covid.
Una prima domanda allora si pone: dove situare l’inizio del «mondo nuovo»? Lo spartiacque è il 2001? È l’11 settembre, sono le Torri gemelle? Ovvero la linea va tracciata nel 1989, 11 novembre, caduta del muro di Berlino?
Nel 1989 ebbe fine il mondo dei totalitarismi, di Auschwitz, della bomba atomica e della cortina di ferro. Il 2001 fu invece il contraccolpo a una globalizzazione affidata tutta agli automatismi economici, non guidata dalla politica, anzi segnata dalla sua crisi, e dal disastro e desertificazione delle comunità che provoca migrazioni insieme disperate e di speranza, dal definitivo emergere delle sfide inquietanti della tecnica, del post-umano e della devastazione ambientale.
Si può forse leggere il 1989 come possibilità e il 2001 come crisi. È questa, a mio avviso, la linea seguita dall’enciclica di Papa Francesco. E il senso del suo riferirsi a un «mondo chiuso» e a un «mondo aperto». Nel 1989 la caduta dei muri, l’idea di una politica fondata sull’interdipendenza, il “siamo tutti sulla stessa barca” di Gorbaciov; nel 2001 i nuovi muri e, sullo sfondo, lo “scontro di civiltà” se non di religioni. L’impressione è che l’enciclica di Papa Francesco si illumina allorché la si colloca presso il crinale del 1989. Muri che cadono e ponti che vanno costruiti, interdipendenza, mondo aperto, dialogo e non scontro tra religioni.
Francesco, è stato già ampiamente notato, richiama i tre valori della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fraternità. E pone l’accento sul terzo termine, quello della fraternità. Il meno proclamato ma quello decisivo. Proprio dopo il 1989, collaborai con l’allora segretario del Pci Achille Occhetto a comporre il documento congressuale che sanciva la fine del Pci e la definizione di una politica che potesse affrontare per l’appunto le sfide del mondo nuovo. Si richiamava lì la necessità di superare la contrapposizione tra i due valori di libertà e uguaglianza che avevano diviso l’Europa, e soprattutto si diceva che era «centrale il richiamo al valore della solidarietà, che rinvia a quello di fraternità, valore non a caso negletto tra quelli proclamati dalla rivoluzione francese, e che oggi può invece costituire una mediazione tra il valore della libertà e quello dell’uguaglianza».