“Ormai è troppo tardi”, tesi climatiche da maneggiare con cura

di Stefano Caserini | Mercoledì 25 agosto
 
 
 
Altreconomia
 
 
 

“Ma ormai è troppo tardi”. “Non possiamo più contrastare il riscaldamento globale, la catastrofe è inevitabile”. Queste affermazioni si sentono sempre più spesso. Da soggetti e con argomenti molto, molto diversi. Alcuni usano analisi approfondite, ti fanno riflettere. Altri rivelano solo una sensazione di disagio, pessimismo e spaesamento. Alcuni sono divertenti, sono quelli che fino a pochi anni fa negavano l’esistenza del riscaldamento globale. Un’evoluzione prevista: nel mio libro “A qualcuno piace caldo” (Edizioni Ambiente, 2008, ora scaricabile gratuitamente dal sito caserinik.it) avevo descritto le diverse fasi del negazionismo climatico. La prima: “Niente sta cambiando”. La seconda: “Il clima è sempre cambiato”. La terza: “L’uomo non c’entra”. La quarta: “Non dobbiamo preoccuparci”. La quinta: “Il riscaldamento globale fa bene”. La sesta: “Fare qualcosa costa troppo”. La settima fase era, appunto: “Ormai è troppo tardi”. Erano previste due declinazioni: “Non è possibile ridurre le emissioni come necessario” e “l’adattamento è l’unica soluzione”. Con nonchalance le stesse persone sono passate in un decennio da non voler credere alla realtà del surriscaldamento globale, a giudicare il problema irrisolvibile.

 

In alcuni casi si affannano a spiegare l’unico modo in cui il problema sarebbe risolvibile. Con la medesima convinzione con cui sostenevano l’importanza del ciclo delle macchie solari o delle isole di calore urbane nel determinare le temperature del Pianeta, ora ci raccontano che solo il libero mercato può permettere di contrastare il riscaldamento globale. E siccome alla fine si rendono conto della debolezza degli argomenti, una citazione di Antonino Zichichi o Franco Prodi arriva sempre per dire che in fondo la comunità scientifica non è concorde e magari la situazione non è così critica. Sbagliano oggi, come sbagliavano allora.

 

Molto più difficile è rispondere a chi affronta la questione in profondità. È il caso di Jonathan Franzen, uno dei miei romanzieri preferiti, autore non solo di grandi romanzi in cui emerge il tema della lotta al climatico, ma anche lucido saggista. Hanno fatto molto discutere il mondo ambientalista i suoi scritti “I dilemmi di un ambientalista” e “Scrivere saggi in tempi bui”. Il suo ultimo saggio, “E se smettessimo di fingere” (Einaudi) è stato pubblicato con il sottotitolo: “Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica”. Mentre la frase impressa in copertina recita: “L’apocalisse climatica sta arrivando. Per prepararci ad affrontarla, abbiamo bisogno di ammettere che non possiamo prevenirla”. Un testo molto importante, ricco di spunti interessanti (e alcune cose per me non condivisibili), scritto in modo mirabile.

 

È indubbio che negli ultimi quindici anni gli argomenti a supporto del “non ce la possiamo fare” sono cresciuti. E molte persone cominciano a sentire la fatica di convivere con le emozioni che derivano dal capire la gravità del ritardo che abbiamo accumulato, o almeno dal sentire una minaccia indistinta per noi e gli altri esseri viventi con cui coabitiamo questo Pianeta: non è difficile osservare immagini o video di straordinario impatto e crudezza sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, semplicemente con un click o guardando un telegiornale. Ma in questi quindici anni è successo anche altro, di cui si è parla spesso su Altreconomia e su questa rubrica. I motori di una rivoluzione energetica sono ormai caldi. Anche per questo l’argomento “ormai è troppo tardi” andrebbe maneggiato con cura.

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