«Formazione continua, benessere psicologico». E i giovani si fermeranno.
Articolo de Il Corriere della sera
di Dario Di Vico | 13/06/2022
Il sociologo Federico Butera: «L’organizzazione del lavoro va ridisegnata: dovrà essere flessibile, autoregolata, e fortemente supportate dal digitale». Al centro serve il «diritto all’identità», il riconoscimento del proprio sé «Abbiamo bisogno di architetti del nuovo lavoro, specialisti che ridisegnino organizzazioni che ormai ci appaiono incredibilmente vecchie di fronte all’incalzare del cambiamento.
È questa la risposta che si può e si deve dare al fenomeno delle cosiddette grandi dimissioni».
Federico Butera ha speso una carriera a studiare e ridisegnare sia le organizzazioni complesse sia la forma taylorista del lavoro ed è naturale che oggi si senta ingaggiato in questa nuova battaglia con lo scopo di migliorare la qualità del lavoro e chiudere la forbice di “senso” che si sta aprendo tra l’occupazione e i giovani. «Penso che i miei architetti del nuovo lavoro debbano creare organizzazioni di nuova generazione.
Flessibili, autoregolate, reticolari e fortemente supportate dal digitale. Ma devono anche abbinare questa discontinuità a una diffusione della professionalità: dalle mansioni prescritte e rigide si deve passare a ruoli aperti e professioni a banda larga». Il carburante di questa trasformazione non può che essere una formazione continua di qualità: nuove skills per nuovi jobs.
Il terzo ingrediente della ricetta Butera è la piena promozione della qualità della vita di lavoro. «Le organizzazioni si devono fare carico non solo del diritto alla professionalità e alla cittadinanza digitale ma anche del benessere psicologico. Minimizzare fatica mentale e rischio di nevrosi è decisivo: l’integrità emotiva di un lavoratore è importante come lo è un corretto equilibrio tra lavoro e famiglia».
Ma tutto ciò - per quanto complesso possa apparire - rischia di non essere sufficiente a fronteggiare la perdita di senso del lavoro che sta dietro le dimissioni piccole e grandi se non si opera su quello che Butera chiama «diritto all’identità». È il riconoscimento del proprio sé. «La sua assenza è stata studiata ampiamente da sociologi e filosofi. Ed è stata descritta come anomia da Émile Durkheim, alienazione da Karl Marx e mancato riconoscimento della persona da Mounier e Maritain.
Pur nelle condizioni inedite della relazione contemporanea tra uomo e tecnologia questa esigenza si ripropone prepotentemente».